Sardegna, e ora? Il programma del campo largo a un anno dall'insediamento, analisi sulla sanità territoriale

Sardegna, e ora?

Il programma del campo largo a un anno dall'insediamento, analisi sulla sanità territoriale


Quando la coalizione del "campo largo" guidata da Alessandra Todde ha presentato il suo programma elettorale, la sanità territoriale è stata indicata come una delle priorità assolute. Ora, a un anno dall’insediamento e con la legge finanziaria imminente, è il momento di tirare le somme: cosa è stato promesso esattamente? E soprattutto, cosa è stato fatto finora? Questo fact-checking non è solo un’analisi di quanto realizzato, ma un appello a un cambio di rotta concreto, affinché la prossima manovra finanziaria non sia l’ennesima occasione mancata per rafforzare la sanità di prossimità e rispondere alle reali esigenze del territorio.

Il programma elettorale (che potete scaricare qui) si apre esattamente sul tema “sanità e salute”, di cui il pilastro numero due è proprio “medicina territoriale e telemedicina”. L'Azione Progettuale 1 "medicina di famiglia, servizi specialistici e rete dei servizi territoriali" recita così:
L’obiettivo è alleggerire i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta  dalla burocrazia, migliorando così il lavoro clinico e il rapporto medico-paziente. 
Nei centri meno accessibili, è previsto l’impiego di fondi regionali per incentivare la  presenza dei medici di medicina generale, in aggregazione, offrendo gratuitamente  studio, segreteria, rimborso per le spese di viaggio.
In queste primissime righe vengono toccati due tra i temi di maggiore importanza per la categoria: burocrazia e incentivi per le zone periferiche (di cui ho scritto qui in maniera più approfondita).

Sulla burocrazia niente è stato fatto.

Bisogna dirlo forte e chiaro: questo è forse il punto che fa più male e quello su cui ci si sarebbe aspettati da subito un segnale (almeno un segnale!!). 
La burocrazia rende estremamente più frustrante il nostro lavoro alienandoci dalla clinica per dedicare il nostro tempo ad inutili scartoffie.

Ci sarebbe tanto da dire ma rilancio alcune semplici proposte che spero possano essere accolte o almeno prendere parte al dibattito

  • Approvazione registro delle fustelle (già terminata la sperimentazione di due anni da parte della regione con successo). Il registro delle fustelle permetterà ai medici e alle farmacie di non stampare più i promemoria cartacei delle ricette dei farmaci ai fini del rimborso per l’erogazione. Attualmente i farmacisti per ottenere il rimborso dei farmaci sono obbligati a presentare la ricetta cartacea con applicata la fustella, l’adozione a livello regionale del registro permetterà l’applicazione della fustella direttamente al registro stesso snellendo notevolmente la burocrazia.
  • Durata annuale delle impegnative per i farmaci cronici. In attesa dei decreti attuativi del DM semplificazioni 23/11/2020, la regione può applicare direttamente la norma e rendere i farmaci cronici prescrivibili dai medici di famiglia annualmente liberandoli dall’obbligo di prescrizioni mensili.
  • Modalità di rinnovo delle prescrizioni per i presidi per incontinenza cronica. Rendere il rinnovo dei presidi per incontinenza più snello tramite semplice comunicazione alla ASL annuale via pec/mail dedicata oppure tacito rinnovo delle prescrizioni dei presidi fino a diversa comunicazione;
  • Fornire il ricettario rosso anche agli specialisti convenzionati. Il sistema sanitario regionale è attualmente gravato da un elevato numero di prescrizioni indotte dagli specialisti convenzionati, che spesso rimandano le prescrizioni di accertamenti ai medici di famiglia. Questo meccanismo ha diverse conseguenze negative. In primo luogo, trasforma i medici di medicina generale in semplici trascrittori delle decisioni cliniche di altri, portando a una perdita di professionalità e a un rischio di demansionamento. In secondo luogo, tale sistema può creare conflitti con i pazienti quando il medico di famiglia non è d'accordo con le decisioni dello specialista. L'aspetto più critico, tuttavia, riguarda la corretta governance clinica: il sistema attuale non consente di misurare accuratamente i flussi prescrittivi: non è possibile distinguere in modo chiaro quante richieste derivino direttamente dal medico di famiglia e quante dagli specialisti convenzionati, né la natura delle prestazioni prescritte. L'impossibilità di misurare questi flussi impedisce di valutare aspetti fondamentali di salute pubblica come la gestione della spesa sanitaria e l’appropriatezza prescrittiva. L'estensione del ricettario rosso agli specialisti consentirebbe di raccogliere dati precisi sulle prescrizioni effettivamente indotte, liberando i medici di famiglia dall'onere amministrativo e permettendo un'analisi dettagliata delle pratiche prescrittive.
Il problema delle zone periferiche

Sulle aree interne ho già scritto in precedenza e ribadisco la necessità non solo di introdurre al più presto incentivi economici, ma soprattutto di migliorare concretamente le condizioni di lavoro dei professionisti che scelgono di operare lontano dai centri urbani. 

Le zone periferiche si stanno progressivamente svuotando di quella rete capillare costituita dai medici di medicina generale, un fenomeno che, iniziato ben prima della pandemia, ha subito un’accelerazione drammatica con il Covid e che oggi richiede un intervento rapido, deciso e risolutivo. 

Questo spopolamento incide gravemente sull’accesso alle cure, dal momento che nelle aree interne della Sardegna la popolazione è mediamente più anziana rispetto ai centri urbani: l’età media regionale è già superiore a quella nazionale (48,4 anni contro 46,4), con punte di 49,8 anni nella provincia di Oristano e 49,5 nel Sud Sardegna, mentre l’indice di vecchiaia in queste zone, ovvero il rapporto tra over 65 e giovani sotto i 15 anni, è salito a 252,8, segnalando un invecchiamento ormai strutturale​. 

Questo significa che proprio nelle zone con la popolazione più fragile, affetta da patologie croniche e con ridotta mobilità, i servizi sanitari sono sempre più carenti e l’accessibilità alle cure è ormai un problema quotidiano per centinaia di migliaia di cittadini sardi.

Gli incentivi, dunque, non possono limitarsi a un riconoscimento economico (che pure è indispensabile), ma devono includere interventi organizzativi mirati, come il supporto di personale amministrativo e infermieristico, il reale potenziamento della telemedicina e una vera integrazione tra ospedale e territorio, evitando che restino solo dichiarazioni di intenti.

Attualmente, i medici di famiglia non dispongono di strumenti adeguati per il telemonitoraggio, il Fascicolo Sanitario Elettronico continua a essere utilizzato in modo frammentario e le piattaforme informatiche sanitarie, spesso non interconnesse, complicano ulteriormente la gestione dei pazienti. Se non si interviene subito con soluzioni strutturali, il rischio è che intere comunità rimangano definitivamente prive di un’assistenza di prossimità, costringendo i cittadini a rivolgersi a un sistema sanitario già congestionato e minando il principio stesso di equità che dovrebbe garantire a tutti, indipendentemente dalla residenza, un accesso adeguato alle cure​


Azione Progettuale 2: servizi di continuità assistenziale

Miglioramento della Sanità Territoriale attraverso il potenziamento dei Distretti Sanitari di Base e delle Case di Comunità. Queste strutture sanitarie saranno il fulcro dove principalmente opereranno medici di Medicina Generale (MMG), pediatri di libera scelta (PLS), medici di continuità assistenziale, personale infermieristico dedicato e specialisti delle principali branche cliniche. Questi ultimi svolgeranno una funzione di collegamento e integrazione con la rete ospedaliera. È fondamentale anche ridefinire il ruolo della continuità assistenziale, creando un ponte tra medicina di famiglia e la rete dell’emergenza. Per questo, si avvierà un percorso formativo retribuito, analogo alle borse di studio per le Specializzazioni.

Il programma elettorale prospetta il miglioramento della sanità territoriale attraverso il potenziamento dei Distretti Sanitari di Base e la creazione delle Case di Comunità, ma questa strategia non può essere considerata la soluzione al problema dell’assistenza nei territori più fragili. Nonostante l’ambizione di creare un punto di riferimento sanitario più capillare, queste strutture non rappresentano una vera rete di prossimità e rischiano di drenare risorse da aree già sguarnite, senza affrontare il problema principale: la grave carenza di medici di famiglia e di servizi di base nelle zone interne.

In Sardegna, l’attuazione del DM 77/2022 si è limitata alla riorganizzazione di poliambulatori esistenti e alla manutenzione di ospedali in via di dismissione, senza una reale espansione dell’assistenza territoriale​

La riforma ha previsto la redistribuzione del servizio sanitario regionale, ma i distretti sanitari creati non stanno ancora svolgendo le funzioni previste, mentre l’implementazione delle Case della Comunità si sta rivelando più un’operazione di allocazione fondi PNRR che un progetto di trasformazione concreta della sanità territoriale​.

Questi dati evidenziano che proprio dove vi è una maggiore necessità di assistenza continua e di servizi di prossimità, la presenza sanitaria si sta riducendo sempre più. Il rischio concreto è che la realizzazione delle Case di Comunità, invece di avvicinare i servizi sanitari alla popolazione, finisca per accorpare risorse e personale in pochi poli centralizzati, sottraendoli ai presidi di medicina generale nelle aree periferiche, aggravando così l’accessibilità alle cure.

Infine, sebbene il programma elettorale parli di un "percorso formativo retribuito per la continuità assistenziale", al momento nessun provvedimento è stato varato per garantire una formazione strutturata ai medici che operano nella medicina territoriale, né sono stati definiti incentivi concreti per attirare nuovi professionisti nelle zone carenti. Se il sistema non cambia approccio, si rischia di consolidare un modello che allontana l’assistenza sanitaria dai territori, anziché rafforzarla.

Un bilancio finora negativo

A un anno dall’insediamento della giunta, le promesse sulla sanità territoriale restano in gran parte disattese: la burocrazia continua a soffocare la medicina generale, gli incentivi per le zone periferiche rimangono sulla carta e le Case di Comunità, anziché rafforzare la prossimità, rischiano di sottrarre risorse ai territori più fragili. 

Con l'imminente approvazione della legge finanziaria, c’è ancora spazio per un cambio di rotta, ma serve un intervento deciso e strutturale, non semplici dichiarazioni di intenti. 

Se la sanità territoriale è davvero una priorità, lo si deve dimostrare ora, con misure concrete che garantiscano accessibilità alle cure, potenziamento della rete di prossimità e condizioni di lavoro dignitose per i medici. Senza azioni immediate, il rischio è che la sanità pubblica sarda continui a indebolirsi, lasciando intere comunità senza assistenza e aggravando le disuguaglianze nell’accesso alle cure.

Comments