Il PNRR le Aree Interne e tutto quanto
Il PNRR le Aree Interne e tutto quanto
La Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI) dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) propone una mappatura dei comuni italiani suddividendo Aree Centro e Aree Interne a seconda della loro accessibilità a tre servizi essenziali:
Salute: Accesso a strutture sanitarie (DEA di primo livello [nota 1] o superiore) e ambulatori medici, che garantiscono servizi sanitari essenziali per la popolazione.
Istruzione: Presenza di scuole e istituti scolastici, in particolare scuole secondarie di primo e secondo grado.
Mobilità: Disponibilità di infrastrutture di trasporto adeguate, come stazioni ferroviarie e collegamenti stradali che permettono un’adeguata mobilità e collegamenti verso i poli urbani.
Le Aree Centro sono costituite dall’insieme dei comuni definiti Poli, Poli Intercomunali e Cintura. I Poli e i Poli intercomunali sono quei comuni che da soli (Poli) o insieme (Poli Intercomunali) riescono ad offrire l’accesso ai tre servizi essenziali, mentre i comuni Cintura sono quelli collocati a distanze relativamente contenute (mediamente meno di 20 minuti) da un Polo o da un Polo intercomunale.
Le Aree Interne sono costituite invece dai comuni definiti Intermedi (distanza dal Polo mediamente tra i 20 e i 40 minuti); Periferici (distanza dal Polo mediamente tra i 40 e i 75 minuti) e Ultraperiferici (distanza dal Polo mediamente oltre i 75 minuti).
Il concetto è semplice: le Aree Interne sono molto distanti o estremamente distanti da quei servizi essenziali, e, nel caso della Sardegna costituiscono il 70% dei nostri comuni.
Al 31 dicembre 2020 poco meno della metà dei cittadini residenti in Sardegna vive nei 59 comuni classificati come Centri (Polo + Polo Intercomunale + Cintura) e può, almeno in teoria, raggiungere i tre servizi essenziali, individuati dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne, in meno di 20 minuti (Censimento permanente della popolazione in Sardegna 2022, ISTAT)
Veniamo al PNRR
Il piano operativo regionale per il PNRR della Regione Sardegna uscito nel Maggio 2022 individua il sito di costruzione (più spesso di ristrutturazione) per 50 Case della Comunità così distribuite
In giallo i DEA di I livello (presi da qui) in rosso i siti dove dovranno sorgere le case della Comunità.
Mettendo le due mappe a confronto…
Anche se con mezzi non proprio avanzatissimi è evidente come il problema delle Aree Interne (quelle dal verde chiaro al verde scuro nella mappa di sinistra) sia tutt’altro che risolto.
Per affrontare queste sfide, il DM 77/2022 richiederebbe di adattare i modelli di sanità territoriale alle “peculiarità demografiche e territoriali” (Art. 3), invito che in Sardegna assume una valenza decisamente più rilevante alla luce del riconoscimento del principio di insularità nell’articolo 119 della Costituzione. Tuttavia tale invito non sembra essere stato recepito dal piano operativo regionale, che si limita a replicare il modello Tosco - Emiliano con pochi o nessun riguardo per il nostro territorio.
Il piano operativo regionale per il PNRR concentra le sue attenzioni più sulle strutture, ma un modello rigido, fatto di cemento più che di persone, rischia di ingessare ulteriormente le poche risorse a nostra disposizione che, invece, avrebbero necessità di elasticità e dinamicità per essere sfruttate al meglio.
Quale modello di Assisstenza Primaria per la Sardegna?
Anzitutto è evidente che dovremmo smettere di parlare della Sardegna come di un’unica entità (e quindi di un unico modello), ed entrare sempre più nell’ottica che esistono almeno due anime diverse che la compongono: una Sardegna dei “grandi centri e delle pianure” e una Sardegna “delle zone collinari e montuose”.
Erroneamente tendiamo a pensare che nelle città viva ormai la maggior parte della popolazione, in realtà, come l’ISTAT ci conferma, meno della metà della popolazione residente vive nelle Aree Centro.
Queste due anime, proprio in virtù di quanto ribadito dall’Art. 3 del DM 77/22 avrebbero bisogno di due modelli diversi.
Nelle Aree Centro il modello delle Case della Salute è probabilmente il più idoneo, ne esistono già esempi virtuosi in varie parti d’Italia, ma, nelle Aree Interne, il discorso cambia.
Se ne sono probabilmente resi conto i nostri amministratori, che, come si evince dall’immagine che qui riporto per comodità:
Non hanno posizionato quasi nessuna Casa di Comunità nelle Aree interne.
Una casa di Comunità dovrebbe infatti servire un bacino di 40 - 50 mila persone, nel caso dell’Ogliastra la sola Casa della Comunità di Lanusei dovrebbe servire l’intera provincia. Un servizio che chiunque abbia guidato in quelle zone non definirebbe proprio adeguato e capillare.
E allora come assistere quel 50 e più percento della nostra popolazione?
In queste Aree Interne, disegnate a la pointillisme, a bassissima densità abitativa e ad alto indice di vecchiaia, il modello hub e spoke dei “grandi centri e delle pianure” dovrà per forza di cose declinarsi in maniere molto diverse. Avremo bisogno di forme organizzative intermedie, meno ingombranti e rigide delle Case della Comunità, ma maggiormente flessibili, che garantiscano l’assistenza h24 all’interno delle AFT coadiuvando l’azione delle forme associative della MG e che possano sostituirsi ad esse laddove gli/le MMG non ci siano.
Le ASCOT che si sono rapidamente diffuse nel territorio sardo potrebbero presto presentare un conto salato. Se è vero infatti che hanno risolto, nella maggior parte dei casi, le esigenze più pressanti dei nostri concittadini (visite mediche, certificazioni e ricette di farmaci cronici) è anche vero che prive di una struttura organizzativa omogenea non saranno mai in grado di garantire la presa in carico globale della persona, né di fare medicina di iniziativa. E tuttavia il lavoro a quota oraria, equamente retribuito, sembra essere l’unica strada percorribile in determinati ambiti, a dimostrarlo la loro diffusione virale
NAT, una strada percorribile? (Credits to Vincenzo Lavecchia)
Se è vero, come sembra, che il modello di un medico in ogni paese sia ormai al tramonto per mancanza di personale ma soprattutto, bisogna dirlo, di incentivi (solo la metà dei comuni nelle aree interne sono considerati “disagiati” dalla nostra Regione), occorre studiare nuove strategie. Ho recentemente avuto il piacere di discutere con Vincenzo riguardo alle soluzioni messe in atto in Emilia Romagna per garantire la continuità dell’assistenza laddove non si trovavano MMG disponibili a coprire le sedi carenti.
Il NAT è un’Unità Operativa costituita da medici, infermieri e personale amministrativo, che garantisce un’assistenza sanitaria primaria da lunedì a venerdì, dalle 8 alle 20, rivolta a una fascia di popolazione senza scelta medica a causa della mancata copertura con personale titolare o incaricato. Si articola in diversi servizi:
Centrale Operativa NAT (CO-NAT)
Servizio di Visita Domiciliare
Servizio Ambulatoriale Infermieristico
Servizio Ambulatoriale di Assistenza Primaria
Supporto Informativo
In pratica, la Centrale Operativa raccoglie le richieste di visite ambulatoriali presso ambulatori territoriali, farmaci per uso cronico, visite domiciliari e consultazioni telefoniche. Gli studi di assistenza primaria vengono aperti nel territorio laddove necessario, in assenza di MMG. Questo modello rappresenta una versione migliorata delle nostre ASCOT, che attualmente mancano di un’organizzazione strutturata, protocolli e indicatori standardizzati, lasciati perlopiù all’interpretazione individuale.
Ma cosa c’entrano i NAT e le ASCOT con le Case di Comunità hub e spoke?
Abbiamo già visto che la struttura organizzativa prevista per animare e rendere vitali le Case di Comunità sono le AFT. Le AFT sono forme organizzative monoprofessionali di MMG, che dovrebbero garantire la continuità dell’assistenza h24, 7 giorni su 7. Tuttavia, dove mancano i/le medic* di famiglia, è ovvio che non ci potranno essere nemmeno le AFT.
Se tuttavia le nostre Aziende, facendosi carico degli aspetti organizzativi (gestione dei turni dei/delle MMG, assunzione o dislocamento di personale amministrativo ed infermieristico), adottassero i NAT come modello, questi potrebbero contribuire a garantire una continuità dell’assistenza anche per quella metà della popolazione che vive nelle Aree Interne, le più colpite dalla diaspora di medici.
Questo modello se inserito all’interno delle AFT, specialmente nelle Aree Interne, può costituire una solida base di partenza per una continuità dell’assistenza reale h24 e 7 giorni su 7.
Aprire uno studio per un MMG in un paese delle Aree Interne rappresenta una scelta di vita impegnativa: elevati costi economici, nessun incentivo, lunghe ore di viaggio, lavoro in solitudine ed estrema difficoltà (talvolta impossibilità) a trovare sostituzioni per ferie o in caso di malattia. Un'impostazione del lavoro per turni, con la possibilità di condividere il carico assistenziale con altr* collegh*, potrebbe essere la soluzione più sostenibile.
In conclusione
Il futuro dell'assistenza primaria in Sardegna, specialmente nelle Aree Interne, richiede un ripensamento radicale dei modelli organizzativi. Le Case di Comunità, sebbene ideate con buone intenzioni, rischiano di essere inefficaci se non vengono adeguatamente declinate in modelli organizzativi che si adattino alle esigenze territoriali specifiche. L'introduzione di modelli flessibili come i NAT, integrati nelle AFT, rappresenta una strada percorribile per rispondere ai bisogni di una popolazione sempre più anziana e dispersa che si sposa perfettamente con la nuova figura contrattuale del* MMG a Ruolo Unico.
Affrontare le sfide poste dalla carenza di medic*, dalla dispersione demografica e dall'isolamento geografico non sarà facile. Tuttavia, con un approccio mirato e differenziato, che tenga conto delle peculiarità del territorio, possiamo creare un sistema sanitario più inclusivo e sostenibile per tutt* i/le sard*, senza lasciare nessun* indietro.
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