Cronaca di una morte annunciata, i numeri della medicina generale in Sardegna

Cronaca di una morte annunciata

I numeri della crisi della medicina generale in Sardegna

La Medicina Generale in Sardegna è al centro di una crisi sistemica, da tempo prevista e ampiamente documentata, alla quale — nonostante dichiarazioni di intenti e annunci istituzionali — non sono seguiti interventi strutturali né risposte operative da parte degli enti competenti.

Alle difficoltà di governance fanno da contraltare soluzioni di facciata, come le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), che, in assenza di strutture fisiche condivise, operative e accessibili nell’arco dell’intera giornata (Case di Comunità Hub e Spoke), non risponderebbero né ai bisogni assistenziali della popolazione né alle esigenze organizzative dei professionisti.


Il verbale delle assegnazioni degli incarichi vacanti dei medici del ruolo unico di Assistenza primaria restituisce un quadro sconfortante che, purtroppo, se messo in fila con lo storico rappresenta ormai un trend consolidato.

A fronte di un fabbisogno complessivo di 469 medici di medicina generale, solo 39 professionisti hanno formalizzato la propria disponibilità ad accettare l’incarico. Tra questi, non è raro che alcuni non arrivino mai ad aprire effettivamente lo studio o abbandonino la professione dopo pochi mesi, a causa di carichi di lavoro ormai divenuti insostenibili — come è accaduto recentemente anche nel territorio della ASL di Sassari. 

Se proviamo a collegare i due estremi della catena, ovvero gli ingressi e le uscite dalla professione, emerge con chiarezza un dato preoccupante: per ogni 60 medici che lasciano l’attività in Sardegna, ne entrano solo 40. Questo si traduce in un deficit annuo di almeno 20 unità, che va a sommarsi alla carenza strutturale già in atto. Secondo le attuali proiezioni le carenze arriveranno a superare i 500 MMG mancanti entro il 2028 mentre dal 2029 i pensionamenti rallenteranno, ma possiamo permetterci di aspettare?

L’analisi dei dati evidenzia inoltre come la maggior parte degli incarichi venga accettata nelle aree in cui l’emergenza sanitaria è percepita come meno acuta, ovvero nelle ASL di Sassari, Gallura e soprattutto Cagliari. Il quadro nelle altre ASL della regione è, al contrario, fortemente critico e dovrebbe indurre a una riflessione approfondita. Una volta per tutte, è necessario riconoscere che le strategie pensate per i grandi centri non possono essere automaticamente replicate nei territori più fragili o periferici. Lo abbiamo ripetuto più volte: territori diversi richiedono soluzioni diverse. 


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